Michael Tea e i cani del presidente
Quello che segue è una specie di ritratto "culturale" del nono presidente della Repubblica d'Irlanda Michael D. Higgins. Mi sono concentrato infatti più sulla sua popolarità che sui meriti o le criticità del suo mandato presidenziale. Dunque più sulla sua immagine pubblica e meno sulle sue idee. Benché queste non manchino, a prevalere, per chi lo osserva ogni tanto da lontano e in parte penso anche per chi l'ha visto più spesso e da più vicino, è il potere del suo carisma. Un felice connubio tra un'estetica dallo stile assai riconoscibile e una vocazione letteraria che, prima di darsi alla politica di professione, l'ha portato a coprire i ruoli di docente universitario, di giornalista, di poeta e di scrittore. Questo racconto nasce da alcune suggestioni che spiego all'inizio e da alcune immagini non convenzionali in cui mi sono imbattuto fortuitamente. Una di queste l'ho usata qui sopra come copertina. Era riprodotta su un pannello all'ingresso del Secret Book and Record Store in Wicklow street a Dublino, ma purtroppo all'epoca non mi sono preso la briga di capire chi l'avesse fatta e a che scopo. Nella sua enigmaticità mi sembra però che esprima con una certa forza la pervasività dell'immagine di Higgins. Senza questa e un altro paio di rappresentazioni del presidente (che non svelo qui) probabilmente la curiosità di saperne di più non avrebbe superato il livello più superficiale, quello a cui ci si ferma quando ci si accontenta di avere del personaggio un pregiudizio positivo, benché senza sostanza. Per dirla in modo più schietto, avrei continuato a consideralo simpatico e basta. Tutte insieme queste rappresentazioni o raffigurazioni erano invece parti di una storia più grande che ho cercato di mettere insieme qui. C'è molta ricerca, dunque materiali presi da più fonti, e c'è anche qualcosa di mio. Spero troviate che l'insieme funziona. E ovviamente mi auguro che se non conoscevate questo personaggio, durante il racconto non solo lo possiate trovare più interessante della maggior parte dei politici di alto profilo che vi vengono in mente, ma possiate apprezzare la particolarità del rapporto instaurato con la nazione che ha rappresentato per quattordici anni.
I presidenti della Repubblica irlandesi mi hanno sempre suscitato simpatia. Parlo degli ultimi tre in verità, Mary Robinson, Mary McAleese e l’ultimo e uscente Michael D. Higgins. Perché degli altri, a parte il celebre De Valera, non ricordo neppure i nomi.
Dei due presidenti donna in verità non ho mai saputo niente, perché durante il loro mandato settennale (doppio per McAleese, dal 1997 al 2011) ho avuto occasione di ricordarmi di loro solo quando le ho viste scendere in campo per le partite in casa della nazionale irlandese di rugby nel torneo del Sei Nazioni (per i pignoli: durante la presidenza di Robinson, dal 1990 al 1997, il torneo si chiamava ancora Cinque Nazioni). Assistevo a quelle strette di mano con i giocatori sull’erba di Lansdowne Road prima, di Croke Park per una breve parentesi (storia che prima o poi va raccontata, la storia di Croke Park, intendo) e infine del nuovo Aviva Stadium. E a colpirmi, tutte le volte, era il fatto che vedevo una donna a rappresentare la nazione. E tutte le volte ero sorpreso e contento e qualcos’altro, ma più sorpreso a dirla tutta, come se non fossi capace di gestire l’invidia di fronte a quell’esempio di parità di genere ai vertici dello stato irlandese.
Dall’11 novembre del 2011 questo ruolo è stato coperto da un uomo che quando salutava i giocatori attirava ugualmente l’attenzione. Con il suo un metro e sessanta che pareva un’altezza anche inferiore di fronte alle stazze degli atleti, il passo un po’ incerto, la chioma bianca lunga sulla nuca e dietro le orecchie, Higgins pareva uscito dal folklore nazionale più che dalle stanze dell’Áras an Uachtaráin, la residenza presidenziale al centro di Phoenix park. E poiché avevo sentito che era un poeta, la prima cosa che mi era venuta in mente, assurda fin che volete ma tant'è, era che quella camminata avesse qualcosa dell’albatros di Baudelaire, che quelle passerelle fossero la sua tolda dove, in assenza di dileggiatori, erano gli impedimenti imposti dal suo ruolo a farlo sembrare fuori posto, o per dirla con un po' di afflato, un goffo artista esposto alle contumelie della realtà. Per sua fortuna questa incarnazione del potente archetipo creato dal poeta maudit non aveva alcuna ragione di essere, se non nell’istante in cui dava un contentino alla mia immaginazione. Quell'uomo non era soltanto un poeta prestato alle istituzioni, un artista fuori dal suo ambito, e le contumelie della realtà avevano ragioni più prosaiche. Higgins soffriva infatti di problemi ad un ginocchio per le conseguenze di una caduta avvenuta anni prima in Colombia. Da allora sono passati molti anni e le sue uscite più recenti sono apparse ancora più incerte, tanto che si è dovuto aiutare con due bastoni di sostegno, ma ciò è dovuto alle conseguenze del leggero attacco cardiaco che l’ha colpito nel 2024.
Avrei capito solo durante la stesura di questo testo che era casomai il suo sorriso e le sue strette di mano a raccontare quanto l’uomo e l’istituzione avanzassero perfettamente sovrapposti, per nulla a disagio. Anzi, se vogliamo restare nel contesto della poesia, ho dovuto riconoscere che le sue “ali da gigante” erano anche lì, in un luogo dove le sue letture e le sue composizioni non avevano rilevanza, dove non era neppure necessario che la sua arte si esprimesse. Quelle ali erano ciò che la gente poteva apprezzare vedendo il suo atteggiamento e il suo modo di essere che apparivano così sinceri e coinvolti. Vedevano il rappresentate della nazione col suo carico di responsabilità e con la sua fama di intellettuale, vedevano un uomo anziano e molte altre cose che di seguito cercherò di mettere in fila. Tuttavia dimenticate Baudelaire. Non tenterò un'analisi stilistica della sua opera, ma almeno possiamo escludere che la poetica del francese abbia legami con quella di Higgins.
Quando ne ammiravo l’aura di intellettuale, di cui non conoscevo un singolo verso, ignoravo anche il percorso biografico che aveva reso il suo curriculum l’attestato più lampante di come un politico di formazione convivesse con il talento di un uomo di lettere aperto al mondo. Michael D. Higgins è diventato presidente a settant’anni e alle spalle aveva una laurea in sociologia e una ininterrotta carriera politica iniziata alla fine degli anni sessanta con l’ingresso nel partito laburista. Da allora è stato consigliere dell’amministrazione comunale di Galway, quindi sindaco, è stato poi eletto nell'Assemblea d’Irlanda, la camera bassa del Parlamento, dove è rimasto dal 1987 al 2011. Durante questo periodo è stato ministro delle arti, della cultura e del Gaeltacht (l’insieme delle aree in cui l’irlandese è, o dovrebbe essere, la lingua principale parlata dalla gente) che, per la precisione, era un unico ministero. Durante questo incarico nel 1996 Higgins ha promosso la creazione del canale televisivo in irlandese Teilifís na Gaeilge (oggi TG4), che ha mostrato il suo legame con la lingua irlandese e la determinata volontà di difenderla. Ha rafforzato l'industria cinematografica aumentando i fondi per l’Irish Film Board (l’ente cinematografico irlandese), ha introdotto degli incentivi fiscali per produzioni televisive o per il cinema realizzate in Irlanda. Questa detassazione, ad esempio, nel 1994 ha portato a girare buona parte di “Braveheart” di Mel Gibson sull’isola (pur essendo ambientato in Scozia), con benefici economici che sono stati stimati a circa 13 milioni di dollari. Ha modificato le leggi sulla censura abolendo la Sezione 31 del Broadcasting Act che dal 1971 aveva cercato di togliere visibilità mediatica a organizzazioni, o a suoi membri, considerate “contrarie all'interesse nazionale”, come ad esempio il partito Sinn Féin, organo politico dell’IRA. Ha promosso maggiori investimenti nei musei pubblici e ha sostenuto la creazione di una rete di teatri e centri culturali in tutto il paese.
Riguardo alle grandi battaglie per la parità dei salari tra uomini e donne, per l'accesso ai metodi contraccettivi, per il divorzio e per i diritti delle persone con disabilità, Higgins si è sempre trovato pronto a partecipare alle campagne che le sostenevano. Ed è stato molto attivo anche per la difesa dei diritti umani e la promozione della pace a livello internazionale.
Di buona parte di questo suo impegno è rimasta traccia facilmente accessibile negli articoli scritti durante la collaborazione con la rivista Hot Press. Prima di entrare nel merito è il caso di chiarire che la testata, che ha iniziato ad essere pubblicata nel 1977 e che è ancora nelle edicole a cadenza mensile, non è soltanto un magazine musicale, a dispetto delle copertine quasi sempre dedicate a figure che provengono dal mondo della musica. Come spiega Niall Stokes, direttore della rivista, l’ambizione fin dalle origini era più ampia. “Non si può pensare o parlare adeguatamente di una forma d'arte senza considerare anche il contesto sociale e politico in cui essa si inserisce.” Un intento che ha aperto i contenuti del giornale ai temi più diversi, dunque ad “amore, vita, politica, sesso, cinema, sport, religione, ambiente: l'intera gamma di pensieri, idee, conflitti e... beh, passione, piacere e divertimento umani.” Un'apertura che rende la rivista ancora adesso, in tempi di crisi per l’editoria periodica, un prodotto di alto livello e sempre interessante. Anche se forse sono passati i tempi in cui dava un contributo ai cambiamenti che dal 1977 avevano attraversato la società e interessato le espressioni artistiche, i costumi e il rapporto con il potere. E’ dunque in questo clima che la figura di Higgins ha modo di lasciare un segno. Nel 1983 la rivista inaugura la rubrica “Hot Press Interview” raggiungendo quello che allora era definito “un giovane intellettuale radicale in ascesa”, che insegnava sociologia alla UCG (l’università di Galway, che ha frequentato anche Leo Moran della band dei Saw Doctors, come lui stesso ha dichiarato e come emerge dagli ultimi versi della loro canzone “Michael D. rocking in the Daíl”) ed era di recente diventato membro del senato. L’intervista ha rivelato corrispondenze tra il suo pensiero e gli indirizzi editoriali della rivista. Da questa intesa è nata una collaborazione che Higgins onorerà per circa dieci anni, scrivendo 230 articoli.
Si tratta di dispacci scritti al rientro da ogni angolo del mondo, a testimonianza di un'intensa agenda di incontri, visite, sopralluoghi e di confronto con situazioni drammatiche, eventi sconvolgenti, tanto da spingere la redazione a definirne alcuni come "apocalittici". Ha consegnato dunque reportage sulle carestie in Africa, sull’attentato dell’IRA a Enniskillen, sulla guerra dei Sahrawi contro il governo marocchino, sulla morte di sei gesuiti e di due cuoche nella guerra civile a El Salvador. Non sono mancati articoli sulla Palestina, il Cile, vari stati del sud America e del sudest asiatico. La coerenza tra la linea editoriale e la visione di Higgins hanno portato anche a sincretismi curiosi, come si nota nel numero del 4 agosto del 1983, che in copertina vedeva i giovani e zazzeruti U2 alla vigilia del concerto che avrebbero tenuto a Phoenix Park dieci giorni dopo. Il pezzo di Higgins è stato titolato infatti “Darkness on the edge of town”, esattamente come il disco di Springsteen del 1978, perché riguardava i processi contro le persone arrestate nella città di Fatsa, a seguito del tentativo del governo di porre fine ad un esperimento di autogoverno di ispirazione socialista, prendendo dunque in prestito dal cantautore americano e con una certa libertà il tema dell'infrangersi dei sogni nel duro contesto della realtà di provincia.
Ma Higgins aveva i suoi cavalli di battaglia che scalpitavano nel recinto del dibattito nazionale. E' dunque sempre stato pronto a dire la sua sulle arti performative (e la censura), l’informazione, il diritto all’aborto e al divorzio. Con prese di posizione che sono diventate istanze politiche sostenute durante gli anni di più intensa attività come senatore e come ministro.
Comprensibilmente Stokes sottolinea la grande qualità di questi articoli. E si permette di raccontare almeno un retroscena che ci dice qualcosa in più sulla serietà con cui Higgins aveva preso l’impegno. Era un’epoca precedente alle email e per rispettare i tempi necessari a rivedere il pezzo e a impaginarlo, ristretti a causa della cadenza quindicinale della rivista, la consegna dell’articolo non sempre poteva essere affidata al servizio postale. Il collegamento ferroviario tra Galway e Dublino ha consentito di ovviare al problema con la consegna della busta con il lavoro appena concluso ad uno sconosciuto in partenza. La telefonata alla redazione che seguiva avvisava di andare sulla banchina a Heuston Station incontro alla donna col cappello rosa e la sciarpa gialla, o all’uomo con la giacca di jeans e un leone ricamato sulla schiena.
La gloriosa collaborazione con Hot Press si interrompe nel 1992. Higgins riceve l’incarico al dicastero di cui sopra e decide di dedicare ogni sforzo al carico di lavoro che lo aspettava. Il progetto di raccogliere in volume almeno una parte di questi contributi è rimasto nel cassetto per anni, poi ha cominciato a concretizzarsi per prendere finalmente forma solo nel 2024, in tempo per accompagnare l’autore verso la fine del suo mandato presidenziale. Ne è nato “Power to the people: the Hot Press years” che contiene una selezione di 40 articoli.

Il suo contributo di idee e di opinioni con cui ha informato decine di migliaia di lettori di un periodico in crescente affermazione, è dunque proseguito con un’attività più concreta in veste di ministro. Quando però ha dovuto attenersi all’imparzialità che richiede l’incarico presidenziale, non solo sono venuti meno i suoi poteri decisionali (analogamente al ruolo dell'omologo italiano), ma anche lo spazio per intervenire nel dibattito pubblico si è ristretto. Ciononostante il suo temperamento l'ha portato a volte a forzare questi limiti. Da un articolo pubblicato sul sito della BBC leggiamo ad esempio che “negli ultimi anni ha spesso espresso pubblicamente la propria opinione su una serie di questioni nazionali, tra cui la crisi immobiliare nella Repubblica d'Irlanda [aggiungo io: definita non un problema, ma un disastro] e la guerra a Gaza [chiamando genocidio l’azione militare israeliana contro i civili palestinesi], suscitando un dibattito sulla portata della costituzione irlandese in merito alla possibilità per il presidente di esprimersi su tali questioni.” Altrove questa sua volontà di intervenire su temi delicati è stata accolta come una sorta di guida morale del paese.
Tuttavia addentrarmi nell’analisi politica del suo doppio mandato esula dal mio interesse. C’è infatti un aspetto più appassionante, che va oltre i meriti istituzionali ma che pare essere un’emanazione della sua figura che, come ho già avuto modo di sottolineare, unisce il politico, l’intellettuale e l’uomo. E questo aspetto è legato alla sua popolarità, che in patria sembra essere cresciuta nel tempo e mi pare sia andata molto oltre quella che di solito è riservata ad una figura istituzionale. E poiché questa inevitabile sua uscita di scena è stata accompagnata da un’intensa partecipazione emotiva, che di questa popolarità è l’espressione più spontanea, ho cercato di capire da cosa sia stata alimentata.
Ampia e trasversale, la sua popolarità si impone come un fenomeno non comune per un capo di stato. C’è una fotografia scattata in casa di una signora irlandese che in questo momento è un'estensione della nostra famiglia (la signora e la casa ad essere più precisi), che mi aveva colpito prima ancora che iniziassi a mettere in fila le tappe della sua carriera politica e prima di considerare il suo ruolo di intellettuale. E questa fotografia pone una domanda che concentra tutta la curiosità sulla portata e sulla natura della sua popolarità: come è successo che Michael D. Higgins, nono presidente d’Irlanda, è diventato un copriteiera fatto all’uncinetto?

In modo più serio potremmo chiederci come alla seconda elezione l'elettorato (che, chiariamo, come in Francia elegge direttamente il presidente) si sia comportato con un trasporto che alla prima era stato molto più trattenuto. Higgins nel 2008 era in vantaggio col 38% dei voti, ma è stato eletto grazie al conteggio delle seconde e terze preferenze. Una modalità prevista dal sistema elettorale irlandese che consente infatti di votare il proprio candidato ma anche altri sulla stessa scheda, voti che verranno considerati qualora il prescelto abbia raccolto troppi pochi voti per competere per l'elezione e sia stato dunque eliminato. Sette anni dopo questa distribuzione di voti secondari non è stata necessaria perché Higgins ha stravinto con i voti di preferenza, più che doppiando il secondo. Dunque strada facendo il presidente ha fatto breccia. Se alla prima corsa elettorale era già visto come una figura affidabile e un candidato di compromesso, tanto da raccogliere anche molte seconde e terze preferenze, al secondo giro molta più gente lo stava guardando in modo diverso.
Se torniamo per un attimo alle sue passerelle prima del calcio di inizio delle partite di rugby, una risposta che spiega questo appeal c'è, ed è lì sul campo. Ma prendiamoci dell’altro tempo, perché la questione ha molte sfaccettature e tutto sommato è divertente. C’è infatti almeno un’altra rappresentazione del presidente da cui potevo partire per rifare a ritroso il percorso di affermazione della sua immagine pubblica. Ed è quella creata dal disegnatore Peter Donnelly. Una decina di anni fa Donnelly ha avuto infatti un’idea brillante. Prendere la figura del presidente Higgins e farla diventare il protagonista di storie per bambini, colorate ed edificanti. Il progetto è stato sostenuto dalla casa editrice Gill Books che nel 2017 ha dato alle stampe “The President's glasses” e che ha avuto un immediato successo, ottenendo anche alcuni importanti riconoscimenti. Sono seguiti altri due libri, ma in ognuno “il presidente”, che rimane anonimo ancorché perfettamente riconoscibile, affronta varie situazioni dalle quali emerge la sua gentilezza e la tenerezza resa ancora più viva dall’aspetto di nonno bonario, magari un po’eccentrico ma saggio, che il personaggio incarna.
Senza alcun coinvolgimento diretto di Higgins, una volta che i libri hanno cominciato a circolare hanno ottenuto l’apprezzamento suo e della moglie.

Se parliamo dunque di riconoscibilità c’è indubbiamente nell’immagine pubblica di Michael D. Higgins qualcosa che attira, forse distrae pure, perché è così evidente e manifesta che precede la possibilità di apprezzare le sue capacità e la sua preparazione. Una riconoscibilità che nasce dal connubio di tre fattori principali, presenza fisica, tratti somatici e stile.
Dell’altezza, della chioma e dei tratti del viso non c’è da aggiungere altro, se non che concorrono nel dargli l’aspetto di una persona mite, che anche sulla stampa internazionale ha dato luogo a paragoni non particolarmente originali sui folletti della tradizione dell’isola.
Sugli outfit il discorso non è poi tanto diverso. Dalle foto e dai video reperibili in rete i suoi completi in tre pezzi, i tessuti come il tweed e la flanella, i maglioni a V, mi hanno sempre dato l’idea che Higgins si sia voluto mostrare come un distinto signore d’altri tempi. La stampa irlandese è stata più precisa e via via ha definito il suo stile come quello di poeta accademico, con un tocco bohemien dato dalle sue cravatte colorate, o dotato di un’eleganza con una spiccata originalità, tale da riuscire ad eludere i vincoli estetici standard dell’uomo di stato moderno.
E questo stile compare ben definito anche nel copriteiera. A creare questo oggetto per noi un po' inconsueto è stata Susan Banks di Tallaght, un sobborgo di Dublino. Questa signora aveva già dimostrato la sua abilità a lavorare all'uncinetto quando aveva dato forma ad altri personaggi famosi, ma in un’intervista raccolta per un servizio di RTÉ riguardo al copriteiera presidenziale ha espresso una sintesi semplice e affettuosa che dona al manufatto un valore unico: “E’ un uomo così adorabile! E la sua altezza e la sua corporatura! E’ perfetto per un copriteiera", e lo dice appoggiando una mano sulla pelata rosa della sua creatura, ribattezzata Michael Tea e poi ripete “E’ perfetta”. Come dire, è un simbolo nazionale, ci rappresenta tutti, tiene al caldo il tè e al sicuro la nostra tradizione.
Ma Michel D., come informalmente è chiamato (e di cui Michael Tea è ovviamente una bonaria parodia), per gli irlandesi non è ovviamente solo un personaggio molto in vista e rassicurante che di mestiere fa il presidente in uno studio sommerso di libri. E’ anche il padrone di bovari bernesi che gli hanno conteso la notorietà. E in alcune occasioni pubbliche gli hanno pure rubato la scena.
La prima generazione di cani presidenziali è stata rappresentata da Bród e Síoda, che significano rispettivamente Orgoglio e Seta in irlandese. I momenti in cui i cani accompagnano il padrone anche in situazioni ufficiali, come durante l’incontro con altri capi di stato, o che lo intralciano in cerca di attenzioni mentre tiene un discorso davanti alla residenza presidenziale, oppure che soltanto gli scodinzolano intorno durante le quotidiane passeggiate nel parco, sono diventati popolarissimi. E, come vedremo, hanno pure alimentato una moda.
Quando nel marzo del 2021 la famiglia Higgins ha accolto in casa un nuovo cucciolo di cinque mesi, Misneach (Coraggio), per fare compagnia a Bród che era rimasto senza Síoda, mancata dopo una breve malattia, la stampa nazionale non si è certo fatta mancare l’occasione di coprire la notizia. E un articolo dell’Irish Independent del 2 marzo il giornalista ha chiosato confermando che “i cani del signor Higgins hanno conquistato il cuore della nazione in numerose occasioni grazie alla loro natura amichevole nei confronti degli ospiti di Arás an Úachtarán.” Cani simbolo di lealtà e onestà, teneri e riconoscibili grazie alla loro livrea, sono in fondo lo specchio del loro padrone, che può pregiarsi di queste stesse qualità.
La visibilità, con tutte le sue connotazioni empatiche, regalatagli dalla vivacità dei suoi cani introduce un altro tema interessante e peculiare. Quando nel 2014 era circolata sui media irlandesi la foto del presidente in fila ad un bancomat, apparentemente senza guardie del corpo (che ovviamente dovevano essere presenti), il commento della giornalista dell’Irish Independent, con un tocco di deferenza che pare un comunicato del suo ufficio stampa, era stato che “il presidente, persona molto alla mano, non ha avuto alcun problema a mettersi in fila con gli altri clienti in Baggot Street a Dublino.” Al di là del gesto, che non sappiamo quanto spontaneo (ma in fondo non ci interessa più di tanto), è il fatto che ha avuto una visibilità straordinaria. Del resto, è qui sta il punto, Higgins è stato il primo presidente irlandese ad aver vissuto il proprio doppio mandato nell’era dei social media (ricordo che Instagram viene lanciato nel 2010 e ci metterà almeno un paio d’anni ad imporsi globalmente). Quando cioè l’immagine di chiunque o qualunque cosa avesse la forza di attirare attenzione ha iniziato a circolare ovunque con una velocità e una capillarità irraggiungibili (e inimmaginabili) in passato. Siobhán Doyle ha scritto sul sito di RTÉ queste parole: “i social media sono stati uno strumento potente per presentare il presidente Higgins come un politico identificabile, ordinario, imperfetto e accessibile”. Ma nel suo articolo non ho trovato allusioni alla possibilità che dietro le scelte estetiche del presidente, o di quei gesti balzati all’occhio per la loro spontaneità o autenticità (aggiungiamo le foto in sella ad una Bmx, durante la campagna per la rielezione) ci fosse una regia o un calcolo. Dalla sua analisi ci si può casomai fare l’idea che la reputazione guadagnata da Higgins sia stata un fenomeno che ha ottenuto un grande successo per una congiuntura di fattori. L’ampio consenso e la non meno estesa popolarità sono nate attorno ad un uomo anziano di impeccabile eleganza tradizionale, che ha goduto di una visibilità garantitagli dal suo ruolo, ma che i media tradizionali e i canali social hanno amplificato. E questo ruolo rappresentativo di eccezionale prestigio ha potuto contare sul fascino dell’aspetto personale, rassicurante senza mai perdere di autorevolezza, umile, affabile e ironico, come ha dimostrato ad esempio in un’intervista al Tommy Tiernan Show di RTÉ rispondendo alla domanda scherzosa “Sa sempre cosa fare quando invita quella gente lì [i capi di stato stranieri]?”, “Beh, vedi, io sono la parte più piccola della faccenda. Alla fine io non faccio che nutrirli, e loro pagano il prezzo di ascoltare i miei discorsi.”
C’è infine da considerare la sua immagine di intellettuale, dato che del suo ruolo istituzionale abbiamo già accennato. Penso si possa dire che la sua attività letteraria, come giornalista, poeta e scrittore, che l’ha accompagnato dai tempi in cui era senatore, gli ha conferito un senso di rispetto che è potuto solo aumentare negli anni in cui ha rappresentato la nazione. Anzi, di più, agli occhi della gente questo suo côté ha aumentato la fiducia nell’incarico che gli avevano affidato. E questo nonostante, da quello che ho potuto leggere dei suoi discorsi, l’approccio comunicativo non sia stato sempre modulato per rivolgersi ad un pubblico esteso ed eterogeneo. Si prenda come parziale esempio, anzi parzialissimo, l’attacco del discorso tenuto il 28 marzo 2016 in occasione delle celebrazioni del centenario della Rivolta di Pasqua (la traduzione è di Enrico Terrinoni, e il discorso integrale è contenuto nel libro “Irlanda. Un romanzo incompiuto”):
“Commemorare implica inevitabilmente selezionare eventi, attori, idee e conseguenze e richiede una dialettica tra la memoria e l’oblio che tende a essere mediata dal prisma delle preoccupazioni attuali.”
Niente di criptico, eppure per comprendere la frase appieno non basta ascoltarla. Anzi, direi che va meditata. E ciò che segue, per cinque o sei pagine, va da sé, non è da meno. In realtà i suoi discorsi sono stati elogiati e apprezzati proprio perché da un accademico ci si aspettava cura del linguaggio e un registro alto. Discorsi che hanno toccato temi come giustizia sociale, diritti umani, ecologia e con i quali ha dimostrato attenzione per deboli ed emarginati. Accompagnati da una teatralità e una certa veemenza, possiamo comunque immaginare che magari non siano stati compresi da tutti in ogni passaggio, ma siamo certi che abbiano colpito l'attenzione e contribuito a rafforzare la sua immagine.
Se diamo uno sguardo alla sua attività poetica è possibile giungere alle stesse conclusioni. Da noi è ancora in circolazione un’antologia ben curata (“Il tradimento e altre poesie”, Del Vecchio Editore, sintesi di tre raccolte pubblicate in Irlanda tra il 1990 e il 2004) e dalla lettura si apprezza uno stile che mi viene da definire narrativo, dunque ben poco ermetico. Ma è pur sempre poesia, una forma espressiva elusiva, che richiede una lettura profonda, benché i riferimenti alla sua biografia e alla storia del paese (anche quella dolorosa della guerra civile) possano attrarre anche il lettore occasionale. Ecco, però io non so come sia messo il mercato editoriale irlandese in quanto a vendite di poesia, ma pur supponendo che sia migliore del nostro, il numero di suoi fruitori sarà comunque una porzione esigua rispetto a quanti comprano narrativa o saggistica.
Tutto questo per dire che l’impatto reale della sua produzione letteraria, e in questa includo oltre alla poesia anche il genere del discorso pubblico, è stato un fattore che ha alimentato più il rispetto che il coinvolgimento diretto sui suoi connazionali. Un fattore che gli ha dato prestigio e ha alimentato nei suoi sostenitori un orgoglio che non è diminuito nemmeno quando da presidente non ha pubblicato altro che i suoi interventi istituzionali. Essere rappresentati da una figura di elevato profilo, che tiene alto il nome della nazione, che lo fa con trasporto o meglio, con una "onestà emotiva" come ebbe a dire il poeta Brendan Kennelly (riferendosi invero alla produzione poetica di Higgins, ma è una sintesi così efficace che l'ho incollata qui), e forse dà qualche spanna a tanti suoi omologhi in giro per il mondo, è una circostanza rara e che credo ha donato una bella iniezione di autostima ai suoi connazionali.
A tutto questo va aggiunto, a conferma di quanto detto fin qui, un originale e anche forse un po’ spiazzante evento editoriale che è arrivato sul mercato nel luglio del 2025, pochi mesi prima delle elezioni che a novembre avrebbero concluso il mandato presidenziale. “Against all certainty” è un cd o un lp che raccoglie le registrazioni effettuate nello studio presso l’Áras (come ho già detto, cosparso di libri), mentre introduce e poi legge alcune sue poesie. Accompagnati dai suoni abbastanza discreti di Myles O’Reilly, con il sottofondo del crepitio di un focolare, i testi più famosi come “The betrayal”, "Brothers" o “Dark memories”, uniti a qualche inedito, compongono un disco coinvolgente e delicatamente mesmerico, che è arrivato al terzo posto della classifica irlandese.

Potrebbe essere un bel finale di questo racconto, il congedo del presidente che torna poeta e che mentre ricorda a tutti, con la voce e con i suoi versi, la parte più intima e vera della sua persona, raccoglie anche l’ennesimo ma più affettuoso riconoscimento della sua statura di letterato. Potrebbe eppure no. Non è possibile chiudere qua la storia di questo personaggio così fuori dal comune.
Quando lo guardavo avanzare sul prato dei campi di rugby, malfermo e sorridente, illuminato ai miei occhi dalla sua aura di poeta, avevo le mie ragioni per essere lieto di ammirare quel presidente certamente anche un po’ buffo, ma unico.
Non sapevo, e non l’ho saputo finché non ho approfondito la sua figura in queste righe, che quest’uomo che tende a sfuggire a qualsiasi classificazione data la complessità che ha portato con sé ad ogni livello del suo impegno pubblico, è sempre stato coerente con il proprio ruolo di intellettuale. E nell'identificarlo come un presidente poeta, ne limitavo assai l’importanza per l’Irlanda e gli irlandesi. Higgins, nell’essere sempre rimasto entrambe le cose, intellettuale e politico, ha realizzato infatti la sua idea più entusiasmante (vecchia di millenni ma rimasta in ogni epoca sempre assai rara) e l’ha mostrata al mondo: vivere questa doppia identità nel luogo più utile, lo spazio dell’azione politica.
La mia visione superficiale avrebbe ricevuto una bella lezione se avessi assistito alla scena occorsa nel 2024 di fronte ai giocatori della squadra di rugby delle isole Fiji, durante il cerimoniale dei saluti ai due team prima della partita. Dopo avergli stretto la mano, infatti, ogni giocatore si è piegato sulle ginocchia, mentre il presidente, assai malfermo sulle gambe, non smetteva di sorridere a metà tra la lusinga e l’imbarazzo. Un gesto pare nato proprio come segno di deferenza per quella figura dal carisma imponente e sempre più fragile. “Un richiamo ai valori di umiltà, rispetto e onore che trascendono lo sport e ci uniscono come persone” ha scritto Liam Groarke sul sito Ruckthis.ie
Questo exploit, inedito e chissà se ripetibile in futuro, è anche la perfetta situazione che introduce il tema sui cui ero stato vago poco fa. Gli ultimi mesi da presidente sono stati accompagnati da un un mood particolare che in varie occasioni si è manifestato attraverso prove di affetto e di riconoscenza. Tra queste prove quella che sembra chiudere un cerchio è un omaggio poetico al poeta, a colui che non passerà alla storia come il più citato né il più rilevante tra i tanti che hanno raggiunto fama internazionale in Irlanda, ma certo quello che ha avuto il ruolo più importante per la società irlandese. Di seguito dunque ho aggiunto la traduzione di una selezione dei versi di Johnny Broderick, diventati un brano con le musiche di Gavin Murphy e il recitato di Christy Moore, un’istituzione della musica irlandese. Breve parentesi per chi non conoscesse Christy Moore. Immaginate un Guccini irlandese, ma più prolifico. Uno di quei musicisti iconici, o “irish music legend” per dirla con le parole che ormai lo accompagnano sulla stampa locale, che quando pubblica un disco nuovo, anche adesso che ha raggiunto gli ottant’anni e svariate decine di opere a suo nome (più quelle con varie band), riceve l’onore dal principale negozio di dischi di Dublino, Tower Records, di avere un’intera vetrina dedicata. E che quando va in tournée fa ancora sold-out per più date di fila.
Il brano, intitolato “Music to our ears”, è uscito accompagnato da un video il 20 giugno 2025.
C'è un'aura che ti circonda
Sei benedetto dalla dignità
C'è calore nella tua presenza
Per ogni ospite benvenuto
Come un tuono nella pianura
Come un tuono nella pianura
Un orecchio empatico per gli afflitti
Altruista, umile, ma mai vanitoso
(…)
Condividendo la tua saggezza
Con tutti lungo il cammino
La tua oratoria tranquilla e misurata
Parla chiaramente alle orecchie più attente
(...)
Sei il testo della poesia
La melodia della canzone
Sei la Stella Polare del cielo notturno
Quando la nostra bussola punta nella direzione sbagliata
I tuoi valori fondamentali SEMPRE visibili
Un esempio per tutti
Verità, onestà e decoro
E al centro, la famiglia
Immersa nella tradizione
Giustizia ed equità sono la tua più profonda preoccupazione
(...)
Il tuo servizio al nostro popolo
Sarà impresso nella tradizione futura
L'EPITOME dell'irlandesità
(...)
Sei un tesoro nazionale prezioso
Sei stato musica per le nostre orecchie.
E gli ultimi giorni non sono stati meno intensi. I social si sono riempiti di contenuti che hanno spaziato dalle immagini delle sue ultime apparizioni, al disperato e teatrale pianto di giovani e meno giovani che non accettavano la fine dell’era Higgins. La commozione anche quando più controllata toccava tutti coloro che hanno espresso la propria opinione, offerto il loro ringraziamento, aggiunto una definizione alle mille già usate e prendo per come suona "an absolute fockin' legend" del musicista Garron Noone perché anche qui c'è molta onestà emotiva. Susan Banks è stata intervistata nuovamente e dopo aver dichiarato di aver realizzato e venduto non meno di 2700 Michael Tea in dieci anni, ha mostrato la sua nuova creatura. Connolly Tea ritrae infatti, forse con un po’ meno verosimiglianza, la nuova presidente irlandese, Catherine Connolly (se avete tenuto il conto, è la terza donna su quattro presidenti). Hot Press è uscito col numero di novembre con un ritratto del presidente in copertina ed una lunga intervista condotta da Stuart Clark. Seguita da svariate pagine che riportano i commenti e le opinioni di decine di artisti irlandesi che omaggiano il loro presidente. Certo, vien da dire che gli artisti verso un loro collega in queste circostanze ufficiali, non possono che esprimersi positivamente. E che gli artisti irlandesi più nello specifico abbiano ben poco da criticare le istituzioni tutte. Penso infatti al sussidio che duemila di loro ricevono settimanalmente per poter sviluppare i propri progetti ed esprimere la propria creatività. Questo tuttavia non è sufficiente, a mio parere (ma anche qui vado a sentimento) per affermare che le parole sul presidente rilasciate alla rivista possano essere insincere. Imelda May, cantante e attrice, lo ringrazia per l'impegno e il sostegno alle arti irlandesi, che sono conosciute in tutto il mondo. Ma spende parole anche per Susan, la moglie che lo ha sostenuto ma che si era ritagliata una propria visibilità. "Non potrò mai ringraziarli abbastanza, innanzitutto per averci guidato in modo così meraviglioso e, in secondo luogo, per averci rappresentato in modo così sincero, con amore e bellezza, mostrando al resto del mondo chi siamo." "Ricordo di averlo visto in televisione quando ero molto piccola", ha detto invece Muireann Bradley, musicista country blues (classe 2006), "prima che diventasse presidente, e ricordo che mi sono fermata ad ascoltare quello che diceva. C'era qualcosa di molto insolito nella sincerità con cui si esprimeva". Niall Halloran, cantautore ed ex membro degli One Direction, si rivolge direttamente al presidente e dopo averlo ringraziato aggiunge: "La tua leadership ha incarnato dignità, compassione e saggezza, e hai rappresentato il nostro Paese con grazia sia in patria che all'estero. Mi hai ricordato l'importanza della cultura e della gentilezza, elementi che rendono l'Irlanda ciò che è". Potrei continuare, pescando da altre testimonianze, ma lo spirito è questo. Ed è molto chiaro.

Domenica 9, due giorni prima del passaggio di consegne tra vecchio e nuovo presidente, giravo a Phoenix Park con la famiglia. Bici noleggiata per un'ora e una serata al pub con amici all'orizzonte. Ad un certo punto abbiamo notato la presenza di un gruppetto di persone con al guinzaglio degli inconfondibili bovari bernesi. C’era già di che insospettirsi, ma è stato solo alla comparsa di un secondo gruppo e poi di un terzo che la situazione ha cominciato ad apparire qualcosa più di una coincidenza. Su iniziativa della Bernese Mountain Dog of Ireland, era infatti in corso un raduno festoso eppure composto. Una parte dell’esuberanza mostrata dai bovari di Higgins è stata portata sull’erba del parco dalla trentina di cani che accompagnavano i loro padroni, prima davanti alla cancellata di ingresso all’Áras, quindi in un punto lungo la recinzione da cui è possibile vedere la facciata del palazzo. Era percepibile anche a me che sono gattaro, l’eccitazione di queste creature che si trovavano a dover dividere l’attenzione tra i padroni e i loro simili. Trovare il momento per scattare una foto in posa con il maggior numero di cani è stata una sfida che è durata pochi attimi di ingestibile indisciplina.

Abbiamo seguito il gruppo per un po’, per capire se avessero in programma l’incontro col più famoso padrone di bernesi in Irlanda. Uno dei partecipanti mi ha spiegato che in realtà nutrivano solo la speranza che di rientro da un impegno a Saint Patrick, l’auto presidenziale li notasse. Un’eventualità che in effetti si è presentata un’ora più tardi, quando purtroppo noi ormai eravamo lontani. L’auto si è fermata e dal finestrino Higgins ha salutato tutti. E a salutare lui c’erano schierati, con la compostezza di chi sa anche stare al proprio posto quando le circostanze lo richiedono, tutti gli altri cani del presidente.